Un tratto di Carlo Verga
di Vittorio Cagnoni

Oggi abbiamo accompagnato, nell'ultimo tratto di strada terrena, Carlo Verga, un Capo, meglio un Capo Scout. Nel metodo educativo Scout il Capo non è colui che comanda, ma colui che più ama e serve disinteressatamente i propri fratelli, incrociati nel cammino, senza alcuna differenziazione.

Il suo incontro con lo scautismo avvenne in modo avventuroso durante il fascismo con un gruppo di Scout che stavano continuando la loro attività clandestina essendo disciolta l'associazione. Questo gruppo, denominato Aquile Randagie, aveva rifiutato l'educazione totalitaria e buia del regime mussoliniano e con grande pericolo continuava la propria formazione improntata sui valori eterni nell'attesa di proporli a libertà riottenuta.

Terminata la fase del periodo bellico fu subito eletto primo sindaco di Laglio. Il suo specifico era l'insegnamento della geografia che faceva apprezzare ai suoi alunni.
Di carattere sensibile fu anche dilettante poeta e pittore. Gli piaceva il silenzio, la quiete per meglio meditare e appena poteva si rifugiava nella pesca.

L'ho maggiormente scoperto quando, insieme, abbiamo scritto e raccontato le vicissitudini dello scautismo clandestino nel libro Le Aquile Randagie che avuto il successo di essere letto da moltissimi arrivando, fin ora, alla terza edizione. Durante la stesura si è presentato da vero signore, di poche parole che raggiungevano il nocciolo dell'essenza con autentica ricchezza.

A seguito siamo stati invitati in varie parti d'Italia a presentare l'esperienza dello scautismo clandestino. Era un oratore formidabile e conciso perché tutto gli usciva dal suo vissuto e non gli era difficile trasferire all'auditorio l'impegno per la conquista dei valori in cui credeva: Dio, verità, onestà, devozione al servizio in un'ottica di amore generoso. Parlava brevemente con quella sua cadenza lacustre, ma alla fine ho visto più di cinquecento ragazzi scattare spontaneamente in piedi per applaudirlo ed assediarlo per chiederli un consiglio, un sostegno.

Altra caratteristica l'ha ricordata p. Stefano Coronese nel saluto nella Messa funebre: la sua straordinaria capacità di far combaciare gli estremi non per convenienza di larghe intese, di attuale memoria, ma per armonia.

Il suo mondo era l'educazione per contatto e l'esempio per giovani ed adulti Scout. La sua capacità di ascolto e di saggezza l'ha portato ad essere sempre circondato da tantissimi amici che lo hanno seguito fino alla sua salita alla Casa del Padre. Ed anche questo è un risvolto eccezionale, per una persona di novantasette anni, in un mondo di etere e solitudine.

Oggi ci sentiamo più soli, ci mancherà una persona di buon senso e di grande saggezza, ma il suo messaggio deve continuare: "Coraggio: l'amore deve prevalere!".

Grazie, amico fraterno, Carlo Verga: ci impegniamo!

Tra le stelle alpine
di Emanuele
Takhi - Cavallo d'Altai

La salita al cielo di Carletto mi riporta immediatamente all'altra salita da lui raccontata ne "l'Inverno e il Rosaio".
Lo immagino in un prato di stelle alpine, in Val Codera.
Lassù sempre lo ritroverò, "in tanto meraviglioso scenario di monti e pascoli".
E ovunque mi accompagnerà la sua Testimonianza di passione scout, di amore nel Servizio...e il suo proverbiale buonumore!

 


PROMESSA IN VAL CODERA
di Carlo Verga, da "L'inverno e il rosaio"

Agosto 1941 Scendo dal treno a Novate Mezzola. Sono le 22.40. È tutto buio per l'oscuramento. Ad accogliermi alla stazione c'è uno scout senza divisa e un prete. «Ti aspettavamo con la corsa precedente, come mai così tardi? Ci racconterai poi, ora vieni con noi all'Asilo di Novate. Lì, mangerai un boccone e poi troveremo come passare la notte. Gli altri sono già su in valle e domani li raggiungeremo». Ero partito da Laglio (Como) con un battello per raggiungere Varenna, da lì con un treno per Colico e poi con un altro per la linea di Chiavenna, ci vollero quasi cinque ore. Avevo dato la mia adesione al campo di Codera e non volevo proprio mancare. Passata la notte, dormendo alla bell'e meglio sul «soffice» pavimento dell'Asilo, la domenica dopo, zaino in spalla, mi incammino per la valle. Faticoso il primo tratto, tutto a gradini: già gli altri lo conoscevano, per me invece era la prima volta che imboccavo una valle tanto impervia e strana. Eppure mi sentivo leggero, forse era il fascino segreto di quella valle così diversa dalle altre. Giunti al villaggio di Codera, breve sosta e poi la S. Messa celebrata da Baden. E via di nuovo per Bresciadega. «Arrivano gli scouts, arriva Ghetti! » tale il benvenuto festosamente gridato dagli alpigiani venuti lassù a passare l'estate al maggengo con le loro mandrie. Tra loro ricordo Romilda, la poetessa della valle, persino lei senza parole per la gioia dell'incontro.

Un boccone, un canto, un arrivederci e avanti. La capanna Brasca, ormai in vista, ci avvertiva che la meta era raggiunta. Il giorno seguente fu per me quello della Promessa, data indimenticabile. Dopo la S. Messa al campo, raggiunsi solo, una delle vette vicine, e colsi la stella alpina, poi sempre conservata nel libretto delle preghiere.

Oggi, a tanti anni di distanza, mi domando perché mai nel giorno della Promessa abbia voluto appartarmi e salire solo, lontano da tutti, per ascoltare la voce misteriosa delle cime. Un richiamo invisibile, che mi ripete, «se vuoi imparare a stare con gli altri, ad amarli nel servizio, incomincia a conoscere te stesso».

Lo capii quella sera in Codera al fuoco di bivacco: quel silenzio, quella solitudine, in tanto meraviglioso scenario di monti e di pascoli, mi avevano fatto «più scout».